I segreti del santuario della madonna dei Miracoli di monte Albino, tra storia e leggenda, le imprese di Castaldo e la fuga dei monaci
di Marisa Croce
C’era una volta una bella pianura, una terra fertile dall’aria salubre, coltivata a ortaggi e alberi da frutta. Sui monti e nei boschi attorno al castello di Nocera c’erano sorgenti ricche di acqua e alberi di castagne belle e grandi, di noci e di nocciole, cervi, caprioli ed altri animali selvatici. Sul monte che sovrastava la pianura, a metà strada, nel luogo detto della Matrognana dal nome dell’omonima sorgente di cui si ha notizia fin dall’848, c’era una piccola cappella detta dei tre Pigni, con una immagine della Vergine, ritenuta miracolosa.
Questa cappella era quasi una fermata obbligata per i montanari, i mandriani e i contadini dell’agro che si recavano dall’altra parte del monte per vendere i prodotti del loro lavoro. Sotto gli alberi si riposavano e alle varie sorgenti di acqua fresca e pulita si dissetavano loro e si abbeveravano le loro bestie. Molto probabilmente la cappella era stata edificata per raccogliersi in preghiera, almeno nei giorni festivi. La custodia della cappella era affidata alle cure della confraternita di santa Maria a Monte di Casolla già dal 1300. La congrega curava il mantenimento della cappella e aveva mandato un eremita a questo scopo. Un bel giorno, anzi no, un brutto giorno accadde che un grande condottiero nocerino, GiovamBattista Castaldo, capitano generale dell’imperatore Carlo V, fosse sul Monte Albino inseguito dai suoi nemici che volevano ucciderlo e sembra che lui si rivolgesse alla Madonna per avere salva la vita. In cambio promise di edificare su quella piccola cappella un grande monastero.
In realtà, sembra che molto peso ebbe il rimorso di aver partecipato al saccheggio del Vaticano e di altre chiese a Roma e di aver ucciso chissà quante persone e quindi volesse fare pubblica ammenda di quelle colpe, come pure, contemporaneamente avesse il desiderio di perpetuare la fama delle sue vittorie. Castaldo ottenne in dono dai nocerini il sito sul Monte Albino nel 1530 e ottenuto anche il consenso apostolico, nel 1541 cominciò la fondazione del monastero con “sontuosità e deliziose fontane e giardini con giochi d’acqua” nonostante l’asprezza del luogo e fece costruire apposta una strada rotabile che da Capofioccano arrivava fino alla cappella di San Nicola, spendendo somme molto rilevanti, oggi sarebbero vari milioni di euro.
La chiesa, intitolata poi alla Madonna dei Miracoli, possedeva quadri e tavole pittoriche pregiate, molto probabilmente prese dal Castaldo durante il sacco di Roma. Tra queste il famoso dipinto di Raffaello, la Madonna del duca d’Alba, che fu conservato fino al 1686, quando il viceré di Napoli la comprò dall’abate e che oggi, dopo vari passaggi, si può ammirare alla National Gallery di Washington. Altra opera pittorica di grande valore è la Madonna in gloria con i santi Giovanni Battista e Andrea del senese Marco Pino e una statua in marmo della Madonna col Bambino, adesso conservate nella chiesa di San Bartolomeo. Il sontuoso altare maggiore aveva ricevuto da papa Gregorio XIII “la grande concessione a tutti i sacerdoti celebranti per le anime del purgatorio le stesse indulgenze ottenute se celebrassero a San Gregorio di Roma”.
La cura della nuova chiesa fu affidata ai monaci Olivetani e il primo abate fu Cipriano Castaldo, nipote del condottiero Fu solo nel 1575 che fu esaudito il desiderio del Castaldo, morto a Milano nel giorno dell’Epifania del 1563, di riposare definitivamente proprio nel monastero di Monte Albino. Sulla tomba fu posta una lastra in marmo che attualmente si trova nell’atrio a sinistra della chiesa di San Bartolomeo, accanto alla lapide e al busto marmoreo del Castaldo. Molte rendite del Castaldo prima, e della sua famiglia dopo, furono destinate al monastero con disposizione ai monaci di dire messa tutti i giorni e il giorno dell’Epifania, quando ricorreva il giorno della morte del condottiero.
Purtroppo sul Monte Albino si ripetevano continue e disastrose alluvioni per cui gli Olivetani furono costretti ad abbandonare il convento e a edificare una nuova chiesa e un nuovo monastero a valle, nelle fertili terre di Pietraccetta, ai piedi della collina, in un luogo già regalato proprio dal Castaldo ai monaci e qui, nel 1728, trasferirono tutto quello che avevano a Monte Albino e cioè l’antica immagine della Madonna dei tre Pigni, il famoso altare Maggiore e gli arredi, nonché il mezzobusto marmoreo del condottiero, opera dell’aretino Leone Leoni.
Il monastero, quindi fu abbandonato a sè stesso per moltissimi anni e solo nel 1819 fu riaperto dal vescovo di Cava, amministratore apostolico della diocesi di Nocera, allora vacante. Nel 1839 fu affidato alla parrocchia di santa Maria del Presepe ma dobbiamo aspettare l’8 dicembre del 1973, quando il vescovo Nuzzi lo elevò a santuario. Oggetto sempre di profonda devozione da parte di tutti gli abitanti dell’agro, il santuario si erge a strapiombo sulla valle, “con il corpo attaccato alla montagna e sembra si regga per miracolo” (come scrive il Lancellotti nel 1686) e ancora oggi è una presenza costante e sentita. Specialmente nei giorni della santa Pasqua ci si reca sul santuario, accompagnati da canti e balli folcloristici e come molte cose di Nocera, meriterebbe più conoscenza e più rispetto.
La rubrica Città Segreta va in vacanza. L’appuntamento del venerdì, che tanto interesse ha suscitato tra i nostri lettori, tornerà dopo l’estate. Grazie a Marisa Croce per il suo lavoro fotografico e di ricerca.