Nella storia di Vittoria (e di tante altre) il ruolo indispensabile dei rianimatori e anestesisti dell’Umberto I “che non amano le luci della ribalta”
Nella bella storia di Vittoria Apreda e della mamma Mariachiara Iaccarino, salvate entrambe dai medici dell’ospedale Umberto I di Nocera Inferiore, hanno avuto un ruolo fondamentale anche i medici anestesisti e rianimatori, una categoria di specialisti che spesso nelle cronache giornalistiche viene dimenticata. Quando la sera del 22 aprile dello scorso anno Mariachiara Iaccarino, proveniente dall’ospedale di Sorrento in coma avanzato arrivò all’Umberto I, i primi medici con cui venne a contatto furono proprio i rianimatori che l’accolsero in reparto per tenerla in vita mentre i neurochirurghi e i ginecologi decidevano come intervenire. Ma anche nelle fasi più delicate del doppio intervento chirurgico in sala operatoria c’era un anestesista. Finita l’operazione la mamma della bambina è tornata in rianimazione restandovi per un mese. Se l’Umberto I è una struttura ospedaliera di qualità il merito è senza dubbio anche dei medici anestesisti e rianimatori.
Venerdì pomeriggio, uscendo dall’ospedale dove avevo raccolto la storia della famiglia Apreda, incontrai il dottore Mario Iannotti, primario del reparto di Rianimazione. Con la cortesia che lo contraddistingue, mi chiese cosa facessi armato di taccuino. Gli spiegai il perché e mi rispose “è una storia che conosco bene”. Mi augurò buon lavoro e andò via. Nella foga e passione di scrivere gli articoli e i servizi scaturiti dalla vicenda Apreda, non ho tenuto nella giusta considerazione il lavoro degli anestesisti – rianimatori “che spesso non amano le luci della ribalta” come mi ha ricordato il dottore Iannotti. Lo scrivo ammettendo il “mea culpa” e l’autocritica che non deve mai mancare ad un giornalista.