La crisi dell’agricoltura tra concorrenza estera e costi esorbitanti, i coltivatori del territorio chiedono maggiori tutele
di Pierfrancesco Maresca
Frustrazione diffusa tra molti agricoltori dell’Agro nocerino-sarnese a causa dei propri prodotti invenduti. Basti pensare che nel periodo estivo i fagiolini erano le colture colpite dalla concorrenza estera, ma non solo. Attualmente sono cipolle e verdure a foglia larga, per lo più insalata, ad essere afflitte, anche se la problematica interessa ortaggi e verdure in genere. Quindi ci si ritrova dinanzi una situazione che il settore dell’agricoltura da tempo si trascina.
Tra i coltivatori locali vi è chi confessa di aver evitato di raccogliere i propri prodotti per non imbattersi in “spese maggiori”, quali quelle relative alla manodopera avventizia e trasporto. Il rischio era non rientrare nei costi sostenuti, motivo per il quale risultava paradossalmente conveniente sminuzzare con i trattori ciò che era stato coltivato. Letteralmente distruggere il proprio raccolto, frutto del lavoro di mesi.
Ci si ritrova dinanzi ad una vera piaga, quindi, per le eccellenze del territorio e per le piccole imprese. A cercare di spiegare la situazione in cui si versa il settore è Antonio, nome di fantasia di un coltivatore diretto di San Valentino Torio che preferisce rimanere nell’anonimato.
Come mai faticate a vendere i vostri prodotti?
“Il problema sono i costi relativi alla lavorazione. All’estero un articolo costa meno, in primis per il basso costo della manodopera – rispetto in Italia – ed in secondo luogo per l’impiego di macchine agricole. Ciò si traduce in una quantità maggiore di prodotti coltivati in minore tempo, di conseguenza “più economico”. Qui, soprattutto nel Sud, si impiega prevalentemente manovalanza per semina e raccolta, che ha costi superiori. Dobbiamo poi aggiungere anche il trasporto, confezionamento e commercializzazione”.

Prima il Covid, poi la guerra in Ucraina ed infine l’inflazione. Come hanno impattato questi eventi?
“Con il lockdown abbiamo assistito ad un calo di produzione e di vendita. Ne è seguita una ripresa ma lo scoppio della guerra ha portato ad un aumento sconsiderato dell’energia per non parlare delle materie prime come i fitofarmaci. Gli aumenti si sono ripercossi sui prodotti, in particolare nel prezzo finale al consumatore. Ciò non è dipeso da noi purtroppo. Infatti guadagniamo mediamente dai 10 ai 20 centesimi per ogni cespo di insalata”.
Cosa vi sentite di chiedere alle Istituzioni?
“Quel che chiediamo è tutelare il Made in Italy, attenzionare l’import dei prodotti esteri visto che in alcune realtà si utilizzano fitofarmaci vietati nel territorio europeo a discapito di salute e qualità. Infine, interventi sui rincari delle materie prime ed energia”.