La morte dei due grandi “terroni” che lasciano tracce di umanità, cultura, calore e visioni sempre moderne
“Professo’, permettete un pensiero poetico? Siamo angeli con un’ala soltanto e possiamo volare solo restando abbracciati!”.
Così è stato: come angeli abbracciati, in un giro di lancette, sono volati via insieme, Andrea Camilleri e Luciano De Crescenzo. Due scrittori novantenni in cui si trovano molte analogie. La loro scomparsa ravvicinata sembra una coincidenza eloquente: bravi autori di mestiere e di profonda cultura, lucidamente sagaci, con una travolgente simpatia ed empatia con i loro interlocutori, con l’intelligente capacità di trasformare le proprie profonde radici regionali (ben interpretate) in sguardo sul mondo e sulla psicologia umana, con forte intuizione sui media audiovisivi come canale principe di sintonia popolare, e quindi personaggi pubblici di razza. Uno più “terrone” dell’altro, uno più a Sud dell’altro, hanno gettato le loro tracce di umanità, di cultura, di calore, di aperture.
Vanno via due uomini del Sud, due eccellenze della nostra terra, due persone perbene, due divulgatori: entrambi con un’esistenza lunga, ma soprattutto accomunati dal successo in tarda età. Meno impegnato politicamente De Crescenzo, decisamente di più Camilleri. Entrambi hanno venduto milioni di copie con i loro libri, tradotti in tutto il mondo. Entrambi fuori dagli stereotipi: Camilleri con il suo Commissario Montalbano, con la sua sicilianità rivisitata; De Crescenzo con il suo “Bellavista”, ha saputo raccontare una Napoli diversa fatta di cultura e tradizione, varcando i confini regionali, arrivando a un pubblico più vasto grazie alla filosofia.
Verrebbe da dire: sono sempre i migliori che se ne vanno. Per fortuna le loro parole resteranno per sempre con noi.