A Bormio, in Valtellina, c’è una distilleria dove tradizione, passione, amore per il lavoro raggiungono vette sublimi. Come il Taneda
La scorsa estate ho trascorso qualche giorno di vacanza in montagna a Valdidentro, tra Bormio e Livigno in provincia di Sondrio. A parte gli spettacolari paesaggi alpini, le passeggiate nei boschi, la frescura ritrovata in pieno agosto, ho avuto modo di assaggiare un liquore amaro a me sconosciuto.
Lo aveva consigliato il mio amico albergatore Antonio Calabrese, patron dell’hotel San Carlo a Valdidentro. E’ l’amaro della Contea di Bormio, prodotto dalla distilleria Carlo Ericini di Bormio. Ventotto gradi, è preparato con 36 erbe e radici tra cui genziana, rabarbaro, menta, camomilla, china, achillea. Il gusto è morbido e delicato.
Quando sono ripartito ne ho preso una bottiglia. E’ andata via in pochi giorni. L’altro giorno ho iniziato a navigare in Internet per cercare qualcuno che la vendesse on line. Niente. Poche tracce. Nel frattempo l’albergo dove avevo soggiornato era chiuso in attesa della riapertura invernale. Ho cercato il sito dell’azienda. L’ho trovato ma non è aggiornato e non è possibile inviare alcun messaggio.
Guardando bene l’etichetta della bottiglia ormai quasi vuota, ho trovato il numero di telefono della distilleria. Ho chiamato e mi si è aperto un mondo. Fatto di artigiani, di passione e amore per il proprio lavoro e la loro terra.
“Senta – ho esordito quasi intimidito per la misera richiesta – volevo sapere se spedite poche bottiglie del vostro amaro”. “Certo”, mi sento rispondere, felice di aver esaudito un mio piacevole desiderio. A quel punto pensavo che il mio interlocutore mi passasse l’ufficio commerciale o di spedizione. Invece no, mi dà un indirizzo mail a cui inviare la mia richiesta. “La leggerò io appena rientro da un carico da effettuare”, mi risponde spiazzandomi.
I giornalisti sono curiosi, devono esserlo per professione. Inizio a fare domande. Scopro che al telefono c’è Stefano Ericini, 39 anni, figlio di Carlo. “E’ stato mio padre, non c’è più da sei anni, a mettere su la distilleria – mi racconta – ed io sto proseguendo l’attività”. “Quanti dipendenti avete?”, chiedo. “Nessuno”, è la risposta che mi stupisce. “Siamo io e mia madre Erminia, poi c’è mia zia che ha il negozio”. “Quindi – insisto – lei e sua madre distillate, imbottigliate, mettete le etichette, caricate e commercializzate i vostri liquori”. “E facciamo anche di conti”, risponde Stefano.
Ma non è solo quello. L’artigiano dei liquori mi racconta degli 80 registri che deve tenere in ordine ogni anno, delle accise e delle energie profuse non per la produzione e la vendita ma per la burocrazia. “Ci vorrebbe una sola persona soltanto per far questo”.
“Quante bottiglie producete”, insisto. “Tra le 30 e le 40 mila ogni anno, non tantissime ma riusciamo a tenere il nostro mercato. Ma ora mi scusi, sta bussando un cliente per un carico. Devo lasciarla. Magari mi può richiamare nei prossimi giorni”.
Quasi per tranquillizzarlo gli dico che sono un giornalista, troppe domande forse lo hanno impaurito. “Grazie, più tardi le scrivo cosa spedirmi. E mi riprometto di venirla a trovare al prossimo viaggio a Bormio”.
La Carlo Ericini produce diversi liquori e grappe E questo è ancora più sorprendente dopo che ho scoperto l’organizzazione dell’azienda. C’è l’amaro Taneda, liquore unico nel suo genere: Taneda è il nome in dialetto bormino dell’erba Iva, molto nota fin dall’antichità, cresce sopra i duemila metri fino ai limiti dei ghiacciai.
Poi c’è l’amaro della Contea di Bormio, il Genepy dello Stelvio, il liquore di camomilla, Boscaiola e Regina, grappe con mirtilli freschi o miele, Bormina fatto con grappa e Taneda, il Worms, un orange brandy che deve il suo nome all’omonima antica denominazione tedesca di Bormio, quasi sicuramente derivata da “warm”, letteralmente “caldo”, a identificare le caratteristiche acque termali dell’Alta Valtellina. Non può mancare la Grappa Ericini.