“Miéttece a’ mana toja” risuonerà comunque tra le strade di Pagani nonostante il rinvio per Covid della festa della Madonna delle galline
Il popolo paganese ha nel proprio Dna una forte componente di comprensione, talvolta ironica, altre più bonaria, per qualsivoglia ambiente, contesto o situazione. Ma c’è solo un ambito che coinvolge profondamente la loro emotività più recondita, che può tramutarsi in irrefrenabile gioia o, come in questi tempi complessi, in tristezza: le porte chiuse del santuario di Via Striano, sede dell’Arciconfraternita della Madonna delle Galline.
La cautela relativa alla diffusione del contagio per Covid-19 imporrà anche quest’anno un profilo di sobrietà e di scrupolosa prevenzione dell’affollamento consueto nei giorni di festa: sarà certamente una festa diversa e inedita, quella dedicata a Santa Maria Incoronata del Carmine.
Un vero e proprio cuore palpitante per Pagani, dal quale risuonano le vibrazioni antiche della vita. Una festa dall’anima antica e nello stesso tempo “pop” che la città con inestinguibile devozione trasmette ai suoi figli e ai figli dei figli. Notoriamente il suo inizio è fissato per la prima domenica successiva alla Pasqua: nomi come Francesco Tiano, Gioacchino Moscariello, Anna Bellini, Peppe Tortora, Ugo Maiorano, Bruno Buoninconti, Carla Sicignano, Cristina Forino e tanti altri seguiti da tutti i “Tosellari” e i tammorrari storici hanno battuto per decenni le pelli di capra delle tammorre, cantato “a Figliola” e danzato “in cerchio” sino alla liberazione di centinaia di colombe e tortore pronte a librarsi nell’aria allo spalancare delle porte secolari del Santuario.
La statua lignea ottocentesca della bella Madonna, dai boccoli d’oro e l’aria allegra (‘a Madonna iesce ‘e nove s’arritiria ‘a calata ‘e ‘ll’ora) che attraversa vicoli e cortili, centro e periferia, pronta a posare il suo sguardo su tutti i fedeli rassicurati così dalla Sua protezione divina. I balconi adorni di coperte di pizzo o multicolori (quelli del “corredo nuziale”), i fiori e i coriandoli così numerosi da oscurare il sole, il cielo trasformato in una cortina di fumo dolciastro (quello dei carciofi) e poi tortani, colombe, tortore, galline e pavoni, insieme agli ex-voto e le preghiere miste ai canti.
È difficile, se non raro, davanti ad un guaio, sentire un paganese esclamare “Mio Dio”. Forse è anche (o soprattutto) per questa sua innata capacità di dare, piuttosto che avere, che talvolta si sente trascinato senza posa in balìa degli eventi del fato e in situazioni che non può personalmente controllare. Per questo “Miéttece a’ mana toja” risuonerà idealmente tra i vicoli e le strade della città ancora di più quest’anno come un appello accorato, il desiderio di una protezione costante che rende immuni alle sciagure, quasi una parola di disperato e vibrante conforto che faccia sperare in un domani libero da terrore e contagi.