Parolacce ed insulti hanno sostituito gli argomenti. Ma la credibilità va recuperata con l’onorabilità
Diceva William Alger, se non erro, che l’opinione pubblica è una seconda coscienza. Se così, è ridotta molto male. Sono lontani i tempi delle tribune elettorali e i dibattiti televisivi di quando gli esponenti politici si confrontavano sui contenuti delle loro idee, dei loro programmi, delle loro visioni di società. Idee e contenuti, anche se non condivisi, tutti ben argomentati, chiari, accessibili alla maggioranza degli italiani. Pensiamo a un Pietro Nenni o un Enrico Berlinguer o un Giorgio Almirante. Anche nei momenti di duro scontro prevalevano la serietà, l’educazione, il rispetto dell’altro e delle istituzioni.
L’ultimo trentennio ha segnato un decadimento profondo della qualità del dibattito politico e del confronto pubblico, complice anche un sistema mediatico sempre più mediocre e prigioniero dell’auditel e delle vendite. Il confronto politico e delle opinioni a tutti i livelli, ormai, non è altro che tifo da stadio. Siamo all’attacco verbale violento. Negli anni, poi, il linguaggio non verbale è transitato nelle aule istituzionali. Oltre ai gestacci, restano memorabili le esposizioni di fette di mortadella, cappi, banconote e via di questo passo. Gli argomenti sono finiti in soffitta, mentre dilagano slogan, insulti, agguati. Oltre gli argomenti e all’approfondimento sono scomparse le opinioni, sostituite dai convincimenti fideistici.
Non mancano esperti predicatori, declamatori, arringatori, conferenzieri. Per raggiungere il pubblico, rispetto al passato, dispongono di molti strumenti in più di comunicazione: maggiori opportunità, ma anche rischi di sovraesposizione e di rapido logoramento.
Importare nelle aule istituzionali ciò che avviene fuori dai Palazzi non equivale certo a rendere più “umana” la politica, come si vorrebbe far credere. Al contrario, la politica per recuperare credibilità dovrebbe proprio cercare di recuperare onorabilità. Ma certe qualità non s’improvvisano.