Sul lungomare Trieste a Salerno l’Embarcadero è ormai un luogo di gusto e sapori. In cucina c’è un giovane chef nocerino
Porta il nome di Emanuel Pio Sibilio, la svolta culinaria dell’Embarcadero a Salerno, la “creatura” di Alessandro Vicidomini che, nel corso degli ultimi anni, ha saputo riscattarsi e ritornare a nuova vita dopo decenni di decadenza. Un locale storico della città, quello sito nel cuore del Lungomare Trieste, che da approdo delle imbarcazioni e dei primissimi vaporetti per la Costiera ha saputo divenire una casa del buon gusto e di un lifestyle giovanile che in città per molto tempo è cresciuto, ma, per paradosso, lontano dal mare.
Emanuel Pio, 24 anni, originario di Nocera Inferiore, da quattro anni è divenuto l’executive chef del locale, rimanendone saldamente al timone, innovando e sperimentando ma senza mai perdere di vista la tradizione e, soprattutto, la ricerca della materia prima – ovviamente marinara – del territorio. Il tutto a coronamento di una lunga gavetta sul territorio, in un racconto davvero emozionante, fatto di tanto lavoro e poca ricerca della ribalta mediatica.
“Ho sempre avuto dentro la passione per la cucina, quando sono in cucina sto bene: per questo motivo ho scelto di portare avanti questo tipo di lavoro – racconta – Ho fatto l’Alberghiero, quella che credevo sarebbe stata la mia scuola sin dall’inizio. Per certi versi fu una delusione, in quanto non c’erano fondi, spesso molti docenti pensavano di poterti insegnare il mestiere senza conoscere molto sulla materia, come ho potuto constatare”. Prima di approdare da Gaetano Morese, a Mercato San Severino, dopo la scuola Emanuel Pio si districa tra lavoretti in cucina in cui apprendere, non senza difficoltà, i ferri del mestiere.
“Il mio primo lavoro era distante da casa quattro o cinque chilometri. Ogni pomeriggio facevo tutt’altro che cucinare: lavavo i piatti quando la proprietaria era stanca o assente, a volte chiudevo i cartoni per le pizze – aggiunge – Alla sera finivo tardi, a volte oltre le due, per non più di settanta euro a settimana. Tutti i giorni, senza ferie o riposo. Ogni sera, all’una o alle due di notte, rientravo a casa e tutto questo l’ho fatto per un’estate intera. Ma tutto questo non mi ha demoralizzato: qualcun altro sicuramente avrebbe rinunciato a lavorare a certe condizioni”. Una gavetta completa quella di Emanuel Pio, che ha appreso anche le basi dell’arte bianca.
“Poi – aggiunge – sono stato in una pizzeria in cui ho imparato le basi per la realizzazione degli impasti, sempre contemporaneamente alla scuola. In seguito, ho svolto una breve esperienza lavorativa a Soverato dove ho imparato ad approcciarmi ai grandi numeri: pelavo tra le cinque e le sei casse di patate al giorno, attività con cui trascorrevo la mattinata. Ma da commis di cucina mi sono fatto spazio ed ho iniziato ad assistere il capopartita sui secondi. Ho imparato i numeri, la velocità. Eravamo dodici in cucina, capitava che dormissimo a terra, che ci fossero i topi: è stata un’esperienza che mi ha temprato, e comunque non ho mollato”. Poi, l’esperienza a Casa Morese, nel 2016, che lo consacra nel mondo della ristorazione.
“Lì sono entrato come stagista, in altri termini, potevo guardare ma non toccare. Credo sia stata l’esperienza più formativa in assoluto, c’era un rapporto con i colleghi fatto di stima ma anche di rispetto: lo chef era molto severo, ma tutto questo mi è servito molto per apprendere”. Infine l’approdo all’Embarcadero, nel 2019, dopo la gestione dei Feudi. Dal 2020 ne guida la brigata, oggi composta da cinque membri incluso lo chef, Alessandro Saggese, Matilda Di Filippo, Mattia Trapani, Ahmed Chria.
La cucina lavora a vista, un po’ fronte mare, un po’ proiettandosi verso la strada che costeggia la riviera salernitana, un po’ verso l’accogliente e luminosa sala che d’estate, quando il tempo lo consente, diviene un patio. Si aprono le danze con una pagnotta multicereali con lievito madre, accompagnata da una delicatissima maionese home made aromatizzata al limone.
Pizza fritta Seppia scottata Bottone ripieno di cernia Gambero in tempura Torta di mele Il pane
Per addentrarsi nel percorso degustativo si parte con una cialda di riso soffiato al prezzemolo, maionese d’ostriche e foglie d’amaranto, bignè al pomodoro con la sua ricotta. Spazio anche, tra gli appetizers, ad un gambero in tempura e pane panko con salsa agrodolce, crocchetta di tonno con maionese al limone, basilico greco e acetosella rossa, a puntare subito i riflettori su una grande passione dello chef, quella per le erbe spontanee, e a valorizzare quel tocco orientale che asseconda anche le nuove tendenze ormai ricorrenti.
Interessante la prosecuzione con una fragrante pizza fritta impastata al pomodoro con sashimi di tonno Fuentes, maio ayoli, gel al basilico e tartufo. Vero piatto signature è il bottone ripieno di cernia al cartoccio, spuma di patate, fava in doppia consistenza, cenere di rosmarino e tartufo nero scorzone. Si plana in dolcezza sul mare in una vaghissima chiave orientaleggiante con la seppia scottata, la patata rafano, salsa al nero, il gel alla mela, il finocchio fermentato e la carotina baby. La chiusura trasmette, invece, è affidata a una rassicurante torta di mele Smith e salsa inglese.