Nocera Superiore e il suo legame alla Materdomini, la tradizione tammorriara e gli antichissimi canti della vita contadina
di Christian Geniale
In festa per la Materdomini, una tradizione centenaria quella che si prepara a vivere Nocera Superiore. Sono giorni di fede, folklore e tradizione con il Santuario che apre le sue porte ai tanti fedeli che in pellegrinaggio si portano dinanzi al tempietto dove troneggia l’icona della Vergine Bruna, ricolmi di speranza per invocare una sua grazia.
Caratteristici e suggestivi sono i canti che vengono intonati nei giorni della novena che precedono la festa. Un lungo e accorato canto d’amore che all’alba del 6 agosto s’innalza dal sagrato della basilica. Lodi e preghiere dedicate alla Madonna, dove risulta difficile dare una data storica certa. Si tratta di canti tramandati oralmente, di cui non si hanno dei testi scritti, e vengono recitati in un dialetto napoletano assai particolare, arcaico di origine contadina che vede alcuni dei suoi termini ormai andati in disuso. Ed è proprio dalla semplicità e dall’umiltà della vita contadina che la tradizione religiosa della Materdomini poggia le sue radici.
Grazie alle nonnine devote della Vergine Bruna questi canti di preghiera sono giunti anche a noi. E in questo modo che Modesta e Gino, fin da bambini, hanno potuto imparare e apprendere la bellezza di queste odi popolari. Ancora oggi si prodigano nel far conoscere ai giovani queste belle tradizioni, con la speranza che durino ancora per moltissimi anni. Sono canti che seguono un ordine ben preciso. I pellegrini, giunti dinanzi alla basilica invocano che le porte del Santuario si aprano per poter pregare e dare il buongiorno alla Mamma Celeste, “scinn scinn zij munacon scinn, arapr stu purton” è l’invito che viene fatto ai frati francescani custodi della Materdomini.
Alla vista dell’icona, i fedeli intonano il canto d’ingresso e delle implorazioni, sono le richieste di grazia che chiedono a Maria. In passato anche questi erano in dialetto, ora invece vengono recitati in italiano. Poi al nono giorno, ultimo della novena, dopo la messa dell’alba i fedeli intonano l’ultimo canto che è il saluto alla Madonna. Un canto emozionante e caratteristico, dove è possibile cogliere tutta la devozione e l’affetto nei confronti della Materdomini. I fedeli indietreggiano lentamente dal tempietto che custodisce l’icona sacra, cantando la promessa di rivederla, ancora una volta, il giorno successivo e per quelli che verranno, sia in terra che in Paradiso.
La festa della Materdomini vuol dire anche tammorre
Un legame che risale da tempi immemori, addirittura precedenti alla cristianesimo. In epoca pagana, le feste popolari e contadine, accanto al momento sacro della preghiera, vedevano seguire quello del ballo e della musica. Proprio in questo frangente vede origine la nascita della tammurriata, il canto della musica contadina. Una nobile cultura bucolica che, oltre alla voce del cantore, veniva accompagnata originariamente dalla tammorra, un tamburello realizzato con la pelle di capra, e le castagnette, da non confondere con le nacchere, realizzate con legno di ulivo. Strumenti semplici, capaci di esprimere incisivamente la passione e il sentimento con i propri ritmi.
Anche Nocera Superiore, così come ci racconta Pino Lodato, ha una sua tradizione tammorriara del tutto particolare. I suoi cantori, infatti, esprimevano la propria voce solo in occasione delle feste religiose e in modo particolare in onore alla Materdomini. Canti di contenuti sacri e lodi dedicate alla Madonna che delle volte vedevano gli stessi cantori creare al momento nuove strofe, spinti dalla forte devozione. Poi una particolarità. Molti dei più bravi cantori di tammorre non erano della frazione di Materdomini, ma ben più distanti. Venivano dalle frazioni di Pucciano e Pareti.
Foto in copertina di Antonio Pannullo.