L’avvocato Aldo Di Vito ha scritto una lettera al ministro della Giustizia Carlo Nordio, “adeguare la riforma alla Costituzione”
<<On. Sig. Ministro, sono uno che dei suoi 88 anni suonati ne ho trascorso 60 vestendo la toga di avvocato nelle aule di giustizia penale, sono stato presidente della Camera Penale locale ed ho partecipato per due volte agli esami per l’abilitazione professionale forense come presidente di sottocommissione, penso pertanto di aver titolo ad esprimere qualche idea in merito alle questioni che affollano in questo momento la sua scrivania. Delle quali, è da premettere, quella delle intercettazioni, tanto dibattuta dalla stampa, è proprio l’ultima se non addirittura estranea a quella che viene definita la riforma della giustizia>>. Inizia così la lettera che l’avvocato Aldo Di Vito ha inviato al ministro della Giustizia Carlo Nordio.

<<Questo è l’effetto – continua la lettera – della superficiale, atecnica e contingente semplificazione giornalistica, troppo presa dai “tassativi” pubblicitari che le danno da mangiare per aver tempo di approfondire le questioni, e spesso fuorviata dalla partigianeria politica. Per cui tutto si riduce alla manichea e falsa contrapposizione fra garantisti e giustizialisti, una contrapposizione inesistente alla luce della semplice lettura ed attuazione dei dettami costituzionali. Perché di questo realmente si tratta, di adeguare finalmente il nostro sistema giudiziario ai principi inderogabilmente sanciti dalla nostra Costituzione, che sono: obbligatorietà dell’azione penale, intesa alla prevenzione generale e alla retribuzione del crimine, indipendenza della magistratura, presunzione di non colpevolezza, tutela della libertà e della dignità individuali, senza di che non v’ha democrazia liberale, sacralità e incomprimibilità del diritto di difesa, ragionevole durata del processo, funzione emendativa della pena, che pertanto non può mai implicare trattamenti disumani”.
Obbligatorietà dell’azione penale
<<Allo stato – scrive Di Vito – è soltanto una fictio, perché l’eccessiva mole di lavoro, che a volte è solo un alibi, costringe i cosiddetti operatori a tenere in non cale i reati di minore gravità, tipo furti d’auto, piccole truffe, contravvenzioni, ecc, scegliendo arbitrariamente quali far morire, in base a criteri arbitrari di “opportunità”, tal quale come durante la pandemia, negli ospedali si era costretti a far morire i più vecchi per salvare i più giovani. Ciò significa semplicemente che la giustizia non esiste, perché al concetto di giustizia è coessenziale ch’essa sia “eguale per tutti”. Il rimedio potrebbe essere parcellizzare l’organizzazione delle procure in sezioni destinate esclusivamente ai reati con pene edittali minori, assegnandovi i magistrati a rotazione per evitare gerarchizzazioni e specializzazioni>>.
Indipendenza della magistratura
<<Nel lessico comune – prosegue il penalista – si confondono spesso indipendenza e autonomia, intesa quest’ultima come autogoverno, laddove, mentre la prima va salvaguardata in maniera assoluta, la seconda realizza la più assurda e illogica incostituzionalità, rendendo la magistratura l’unico potere dello Stato che non risponde a nessuno se non a se stesso. Il rimedio risiede in una riforma del Consiglio superiore della magistratura ampliando in seno ad esso l’intervento e i poteri del Capo dello Stato in materia disciplinare>>.
Diritto di difesa
<<Rivedere il sistema delle nullità – scrive ancora Di Vito al ministro Nordio – rendendole tutte assolute e rilevabili in tempi brevissimi mediante reclamo, all’organo gerarchicamente superiore, se si tratta di atti del pubblico ministero, o al giudice d’appello se atti del giudice, con termine rapido di decisione. Obbligo per il pm di rispondere alle prospettazioni e alle eventuali investigazioni difensive prodotte durante le indagini preliminari, motivando l’eventuale irrilevanza o dissenso; divieto anche per il giudice di porre ulteriori domande suggestive o tendensiose ai testi se non siano dirette alla verifica dell’attendibilità e credibilità del testimonio; motivazione del decreto che dispone il giudizio limitatamente all’inapplicabilità allo stato dell’art.129 Cpp>>.

Durata del processo
<<Penso – si legge nella missiva – sia stato un grave errore della riforma Cartabia avere ampliato la platea dei reati rinviabili a giudizio con citazione diretta, al contrario va invece estesa l’udienza preliminare a tutti i reati non di competenza del giudice di pace, rendendola però realmente efficace quale filtro alla successiva fase dibattimentale. Per far ciò è necessario rendere più praticabili e appetibili i riti alternativi. Non è equivalente a tal fine l’operata introduzione di un’udienza predibattimentale, in primo luogo perché crea un’ulteriore e inutile complicazione organizzativa, in secondo luogo perché, collocata dopo il rinvio a giudizio, azzera l’incentivo psicologico di scegliere riti alternativi proprio allo scopo di evitare il rinvio a giudizio. Quindi l’esperimento forte per bloccare il processo mediante riti alternativi va collocato all’interno dell’udienza preliminare, prevedendo l’obbligo del Gup di promuovere in apertura di essa un “tentativo di accordo”, con la sua partecipazione, in camera caritatis, fra accusa e difesa per patteggiamento o abbreviato, e ampliare i limiti di premialità. Si potrebbe escludere dal calcolo della pena ammissibile l’eventuale pena pecuniaria aggiuntiva; prescrivere che in caso di abbreviato non possa essere irrogata una pena superiore alla metà del massimo della pena edittale; escludere pene accessorie e ampliare i limiti della sospensione condizionale se la pena è irrogata in riti alternativi; escludere le spese giudiziali anche per l’abbreviato. Sempre ai fini di accelerazione, si potrebbe dichiarare perentori anche i termini posti all’autorità giudiziaria, come quelli delle parti private, e addirittura istituirsi una certa accelerazione di progressione in carriera per quei magistrati o funzionari che superino determinati standard di produttività>>.
<<Signor Ministro, mi accorgo che l’ho già importunato abbastanza, anche se ci sarebbero mille altre cose da dire. Solo un’ultima cosa voglio dirle, le intercettazioni le lasci perdere, come le dicevo è un problema che non ha a che vedere con la riforma del processo bensì con la libertà di stampa e dunque va esaminato in separata sede. Peraltro già la criminalità importante le ha neutralizzate Ed è prevedibile che un prossimo progresso tecnologico le riduca ad un’anticaglia per guardoni e passatempo per amanti di gossip. Mi scusi l’ardire e si abbia i più rispettosi e sentiti auguri di buon lavoro>>. Firmato Aldo Di Vito